Milano, Febbraio 1888.
Caro Theo,
non ce l’ho fatta.
Ho cercato di starci lontano, ma alla fine ci sono ricascato.
Mi spiace molto, fratello mio: sono tornato in agenzia.
Ma posso assicurarti che, nonostante il mio anno abbondante di assenza dagli aperitivi milanesi, non è cambiato nulla.
Nel senso che, come un anno fa, non riesco a farli.
Esco troppo tardi.
Ora pare che il mondo abbia finalmente capito che “il futuro è digitale”. Ti riporto le parole così come le sento nei corridoi dell’agenzia, senza averle comprese appieno. Insomma, come farebbe un account.
Ma comunque stiano andando veramente le cose, il futuro sarà una fregatura.
Il problema è che io amo dipingere, sentire l’aria tra i capelli, guardare le donne passeggiare, bere assenzio.
Non so proprio che farmene dei promoted post.
Non sai cosa sono?
Sono delle immagini che vengono sparate con violenza inaudita davanti agli occhi di chi non ne sapeva nulla e continuerà a non volerne sapere nulla, con la speranza che qualcuno si fermi a riflettere che forse sarebbe meglio approfondire ma magari dopo, che adesso devo fare quell’altra roba là.
L’unica cosa bella dei promoted post è che obbligano i copy ad occupare poco spazio, circa il 20% del totale, così posso mutilarli a mio piacere senza che nessuno dica nulla.
Usavo un machete, prima che me lo sequestrassero.
Ieri mi hanno passato un brief per una strategia di comunicazione.
Per me la parola strategia ha un nonsoché di militare, come se si dovesse uccidere qualcuno.
Devo realizzare una cosa come 15 piccole immagini che poi verranno caricate su un’arma di comunicazione di massa che si chiama Feisbuc. Una mitragliata di immagini per accecare il nemico, stordirlo e poi, sul più bello, lasciarselo scappare.
Non è meraviglioso?
Il mio lavoro mi ricorda sempre di più quello di Ingmar l’orbo.
Lo chiamavamo orbo nonostante ci vedesse benissimo: si guadagnò il suo appellativo per la cura con cui dipingeva le immaginette dei santi fuori dalla chiesa di Neuen. Puoi immaginare.
Ecco, se vado avanti a lavorare così di fretta e male, la gente penserà che sono diventato cieco per davvero.
Ma tu sai come sono fatto, no?
Ho provato a fare altro.
Ho provato a starmene lontano dalla pubblicità, a vendere Kebab.
Ma lei mi ha richiamato a sé, come la bionda Ivessa chiamava gli uomini sul vialone del Municipio, la sera tardi.
Nessuno ha mai resistito alla bionda Ivessa.
Adesso che ci penso, Ivessa ha sempre chiamato a sé tutti gli uomini di Neuen.
Tranne me.
Forse è per colmare questa grave onta che ora accetto tutte le situazioni impossibili!
Ho ricominciato a litigare con i direttori creativi. Sono così miopi…!
Come si fa a non vedere che questo modo di lavorare ci poterà alla tomba?
Per spiegarmi meglio, ho usato una motosega.
Mi è costata un occhio della testa, ma sono contento di aver speso gli ultimi soldi di papà per questa, piuttosto che comperarmi nuovi colori e nuovi pennelli.
L’arte può aspettare… La priorità ora è far cambiare idea al mondo, convincerlo che tutto può trasformarsi, che le cose sono diverse da come sono sempre apparse e che basta smettere di girare in tondo per cominciare ad andare avanti.
Ma sarà dura. Anche per chi ha una motosega nuova di zecca.
Sai caro Theo, il vecchio Ingmar racimolava più soldi con la carità che con la vendita dei quadretti dipinti da lui stesso. La gente scambiava la tavolozza per il piattino dell’elemosina e lo riempiva di monetine.
Un giorno mi misi ad urlare sul sagrato: “Siete dei pazzi? Non vedete che dipinge? Come fa a dipingere, un cieco? Non capite che ci vede benissimo?”.
E un’anziana donna si avvicinò a me, sibilando: “Ma non ti vergogni? Prendere così in giro un cieco… Sei un farabutto!”.
Ti stringo forte, fratello amato, come il vecchio Ingmar stringeva la bionda Ivessa la domenica sera, dopo aver dipinto fuori dalla chiesa per quattro messe di fila.
Vincent.
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